Kennedy e Gramsci

Ravenna&Dintorni ha dedicato un servizio agli ex comunisti locali. Matteo Cavezzali, il giornalista, ha chiesto loro una preferenza tra Kennedy (Robert? Ted? John? Probabilmente quest’ultimo) e Gramsci. È un’occasione per accennare a due interventi di John Kennedy e Antonio Gramsci sulla Chiesa cattolica ed in particolare all’educazione.

John Kennedy, messaggio alla Greater Houston Ministerial Association (Texas) del 12 settembre 1960:

È apparentemente necessario, secondo me, riaffermare una volta ancora  – non in quale genere di Chiesa io credo, questione che dovrebbe essere importante solo per me – quanto in quale America io credo […] Credo in un’America dove la separazione tra Stato e Chiesa è assoluta; dove nessun prelato cattolico dice al Presidente – dovesse essere cattolico – come agire, e nessun pastore protestante dice ai suoi parrocchiani per chi votare; dove a nessuna Chiesa o scuole confessionali, sono concessi fondi pubblici o privilegi politici, e dove a nessuna persona è negato un impiego pubblico solo perché la sua religione è diversa da quella del Presidente che lo potrebbe nominare, o dei cittadini che lo potrebbero eleggere […] Credo in un Presidente le cui opinioni sulla religione sono una questione privata […] Contrariamente a quanto riferiscono i giornali, non sono il candidato cattolico alla Presidenza. Sono il candidato del Partito Democratico cui capita anche di essere cattolico. Non parlo per conto della mia Chiesa sulle questioni pubbliche e la Chiesa non parla per me. Qualunque questione debba affrontare come Presidente, se dovessi essere eletto – sul controllo delle nascite, divorzio, censura, gioco d’azzardo o qualunque altra questione, deciderò secondo questi convincimenti, in accordo con quanto la mia coscienza mi dirà essere nell’interesse nazionale, e senza tenere conto di pressioni o prescrizioni religiose esterne. E nessuna autorità o minaccia di penitenza potrà farmi decidere altrimenti […]

Antonio Gramsci, così nell’Avanti! del 3 aprile 1917:

È incominciata la settimana di Passione. Passione di Cristo nelle nenie catarrose dei vecchi parroci e delle beghine tabaccose, passione dei bambini e dei giovinetti che i familiari costringono a compiere quelli che si è soliti chiamare doveri religiosi. Li abbiamo già visti per la strada molti di questi bambini, candidovestiti, con la palma nelle tenui dita, testimonianza vivente della vanità delle loro madri. E fra di essi c’erano anche dei figliolini di proletari, e forse fra di essi c’era anche il figliolino di qualcuno di quei proletari che più strillano di anticlericalismo e di laicità. Non potremo mai abbastanza ripetere ai nostri lettori che essi hanno specialmente il dovere di porre d’accordo la teoria con la pratica. E non si tratta di settarismo né di costrizione della libertà di alcuno. Si tratta di una pura e semplice questione di serietà. È necessario che anche l’uomo partecipi alla vita familiare per ciò che riguarda l’educazione dei figli, e non lasci alla donna il monopolio della formazione intellettuale e del carattere dei bambini. E vi partecipi con le sue idee e i suoi principi che, essendo improntati allo spirito di libertà, non possono che giovare all’educazione delle nuove generazioni. Lasciare che la coscienza dei bambini sia manipolata dai preti, sia invischiata di vanità, di pretismo, di lagrimoso spirito cristiano è un permettere che i bambini soggiacciano ad una violenza. Per una falsa concezione della tranquillità domestica si lascia da molti che ciò avvenga. Tranquillità domestica prende il significato di poltroneria. Poltroneria dell’uomo che rinunzia al proprio compito di educatore, che rinunzia alla verità delle sue idee, che rinunzia alla sua coscienza per evitare qualche piccolo attrito, per evitare una discussione. Mentre non sarebbe difficile trovare un accordo tra l’uomo e la donna sui criteri generali da seguire per l’educazione interiore dei figlioli, sulla base della libertà più ampia di coscienza. I figli dei proletari devono essere lasciati liberi di poter scegliere nell’età più matura la via che meglio loro aggradi; nessuna ipoteca sul loro carattere, sul loro avvenire. Si diano loro gli elementi per poter meglio e con maggior sicurezza scegliere. Ma siano elementi di pensiero, non vane vistosità di cerimonie esteriori. Il pericolo è qui appunto: che non si dà ai bambini una vera educazione religiosa, ma li si abitua solo ad appagarsi di pompe vane, di vestitini, di palme, di ipocrisie. I padri di famiglia proletari devono cercare di impedire che continui questa azione antieducativa delle cerimonie religiose. È un loro dovere categorico. La settimana di Passione di Cristo non deve essere la settimana di passione della coscienza della fanciullezza, indifesa dalla poltroneria di quelli che invece dovrebbero difenderla.


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